Lo scorso novembre Joe Biden è riuscito dove aveva fallito 4 anni prima Hillary Clinton, ovvero battere Donald Trump e diventare presidente degli Stati Uniti.
Un successo che tutto sommato avrà fatto piacere anche all’ex candidata democratica, sebbene la sconfitta del 2016 non sia stata ancora completamente digerita.
Partita con i favori del pronostico, Hillary Clinton ha visto assottigliarsi sempre più il suo vantaggio nei confronti del tycoon, fino agli ultimi sondaggi che riportavano di fatto un testa a testa fino all’ultimo voto tra Democratici e Repubblicani.
Il trend era quindi a favore di Trump, che in effetti vinse le presidenziali, rifilando un ko non previsto (e pertanto molto pesante) all’avversaria. Ma che fine ha fatto Hillary Clinton?
Non sono in pochi a chiederselo, anche perché l’ex First Lady non si è vista granché nel corso della campagna elettorale 2020 che ha poi portato Biden a diventare il nuovo inquilino della Casa Bianca.
Probabilmente Hillary ha preferito tenersi in disparte sia per motivi politici ma anche per questioni legate alla pandemia di coronavirus (ha pur sempre 73 anni, ndr). Nonostante ciò, la Clinton non ha fatto mancare il suo sostegno nei confronti di Biden, specialmente sui social.
“Mi fa letteralmente venire il mal di stomaco pensare che avremmo altri quattro anni di questo abuso e distruzione delle nostre istituzioni”, aveva detto Hillary in un’intervista pre-voto rilasciata nel corso del podcast Sway del New York Times. Nel 2017 lanciò anche un movimento di resistenza politica anti-Trump, che prese il nome di Onward Together.
Dal 1 gennaio 2020 ricopre il ruolo di rettrice della Queen’s University di Belfast. Nel suo periodo come Segretario di Stato, Hillary Clinton ha stretto molto i legami con l’Irlanda del Nord, favorendo insieme a suo marito Bill il processo di pace.
Hillary è dichiaratamente progressista, favorevole ai matrimoni gay e convinta sia necessario adottare politiche di contrasto al surriscaldamento globale. Sul tema dell’immigrazione si è detta d’accordo alla creazione di nuovi percorsi per garantire la cittadinanza agli irregolari presenti da tempo negli Stati Uniti.
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